Nel 1790, il pittore di paesaggi Philipp Hackert riceve l’incarico da parte del re borbone Ferdinando IV di dipingere alcuni porti del Regno.
Fra i numerosi paesaggi che Hackert ritrae c’è anche il Porto di Bisceglie, oggi custodito presso la Galleria della Reggia di Caserta. Un dipinto che, agli occhi di tanti, può sembrare quasi una fotografia della vita del tempo, fra il Settecento e l’Ottocento.
Un porto come tanti altri, ma non agli occhi di chi vive in questa città di Bisceglie. Infatti, l’occhio si perde più nei particolari della città, di ciò che ancora è possibile guardare e di ciò che è scomparso definitivamente. Ma anche per un biscegliese, se le altre raffigurazioni di Hackert sono pressoché sconosciute, non questa.
Perché questa non è solo la raffigurazione di un paesaggio, ma di una storia, la storia che appartiene ad ogni persona che vive in questa città. Sembra, allora, che Hackert non abbia solo ritratto un paesaggio, ma abbia trascritto una storia dentro il dipinto, una storia che appartiene a tutti noi per il semplice fatto di abitare in quei luoghi ritratti.
Ma cosa è il riconoscimento dei luoghi se non un modo di abitare? Cosa è il poter guardare ad un dipinto e dire che in quei luoghi non solo ci siamo stati ma siamo addirittura nati, se non un vero e proprio abitare? Già ai primi del Novecento, Heidegger affermava che l’essere umano è colui che abita poeticamente la realtà. Siamo persone nella misura in cui abitiamo un luogo, nella misura in cui lo spazio fisico non esaurisce il nostro modo di essere e di Esserci, come direbbe Heidegger. Un luogo, infatti, non coincide con lo spazio fisico, non riguarda semplicemente la fisicità e la forma del territorio in cui siamo nati, ma è la consapevolezza stessa di essere nati in un luogo piuttosto che in un altro, di appartenere ad una cultura e ad una storia, piuttosto che ad un’altra.
Ora, se nel dipinto di Hackert possiamo perderci fra i mille particolari ancora riconoscibili oggi, tanto da poter indovinare anche in quale luogo egli si sia posto per ritrarre il paesaggio, ciò che il dipinto ci rivela è anche la vocazione stessa della città di Bisceglie. Infatti, la caratteristica principale della nostra città, il fulcro fondativo è dato dal porto. Perché il porto è sia la costruzione sia il modo con cui la città si distende sul territorio, ma ancora di più è la prospettiva che la città stessa ha. Non solo quella di valorizzare il porto, ma anche quella di tendere verso il mare, di incrociare popoli, di intrecciare relazioni. Una città situata sul porto, storicamente, ha una percezione di se stessa molto più aperta alla diversità e allo scambio dal momento che vede transitare sulle sue sponde praticamente ogni popolo.
E se conosciamo qualche biscegliese ci rendiamo conto proprio di questo, di una vocazione all’ospitalità, di una poca sottigliezza nei confronti del colore della pelle come anche di ciò che pensano gli altri. È quasi una vocazione genetica di essere protesi verso ciò che non siamo con una specie pacifica indifferenza e tranquillità.
Un porto di mare, insomma. Una città per sua vocazione aperta verso ciò che non è suo, verso ciò che non è lei, con tutte le precauzioni del caso e, nel caso, anche disposta a chiudersi nella sicurezza delle sue mura, di cui e di chi si può fidare.
MATTEO – Associazione 21