Con la gola arsa ho preso parte ai dialoghi ABBECEDARIO organizzati dalla Società Filosofica Italiana e coordinati dalla Associazione 21, tenuti al castello di Bisceglie. Mi ha mosso una sete di parole pregnanti, orientative per il mio produrre umano e il mio “essere” abitante di una città. Ho provato ad abbeverarmi alla fontana di filosofi ed urbanisti non dico di “assoluti” ma almeno di “assiomi”, non dico di certezze ma almeno di possibili convenzioni, non dico di punti fermi ma almeno di appoggi, seppur cedevoli, per tentare di costruirmi riferimenti, più o meno affidabili, nel mare della contemporaneità.
Ma alla tavola di filosofi ed urbanisti la prima parola che ti servono è “crisi“. È in crisi la città,, in crisi il concetto di limite, in crisi ogni concetto distintivo e dualistico: citta-natura , città-campagna, spazio pubblico-spazio privato; in crisi ogni predisposizione destinativa di un luogo ,anche la piazza, storicamente destinata a luogo d’incontro, perde semanticità. Ci si incontra ovunque. L’ambiente umano contemporaneo é un immenso indistinto che si espande liberamente fagocitando le categorie del passato. Lo potresti immaginare come un informe e famelico blob. Anche spazio e tempo diventano categorie obsolete per chi pensa che Immanuel Kant ha preso il Covid ed é ricoverato in sala rianimazione.
Siamo nell’ oscurità o in un deserto, a sentir loro, e ne sembrano quasi compiaciuti. Ti dicono che la realtà urbana odierna va solo osservata e descritta ma lasciata andare perché gli eventi “semplicemente accadono”. E se il Sindaco chiede spiegazioni sul perché si verificano alcuni fenomeni urbani, qual più candida verità nel rispondergli “non lo so”? In questa città contemporanea sulla cui prevedibilità fenomenica poco si sa, come si agisce o si reagisce? Niente piani ma solo piccole azioni, piccole strategie “quotidiane”, scadute già dopo 24 ore e sguardi sempre attenti al “nuovo” o presunto tale. Le parole d’ordine sono quelle di metalli sotto una pressa: “resilienza” ,”resistenza”, apologetiche del viagra: “sostenibilità”, apologetiche di Zelig “adattamento” e “adattività”. Se provi a protestare il bisogno di visioni di più ampio respiro ti rispondono che non hai problemi di polmoni ma di pensiero. Ogni pensiero é oggi “debole” e tu hai bisogno di educarlo a guardare il deserto per scorgerci elementi , di educarlo a vivere il buio per illuminarlo con flebili luci al led che riscoprano vecchi menhir. Hai bisogno di costruirti mappe mentali, ancor prima che mappe geografiche, come in una caccia al tesoro. Il pensiero razionale é scaduto in pensiero calcolante, la creatività é frenata dal profitto, la proposta artistica non riceve udienza dalla politica, la rivoluzione informatica modifica gli uomini e la città diventa solo il luogo di passeggiate turistiche in cui fermarsi, di tanto in tanto, in un Caffè storico a bere grappa e parlarsi addosso citando testi di antropologi, sociologi e letterati, mentre le urla delle ingiustizie sociali giungono ovattate dalle periferie.
Li ascolti e sprofondi in una depressione maggiore, ed é allora che, per confortarti, ti somministrano le loro pillole di speranza : la città futura si fonderà sulla “leggerezza”, hai un brivido. Sul “rapporto soggetto oggetto”, senti una scossa. Sulla “ibridazione”, infine subisci uno shock anafilattico e cadi in un coma vigile. Già ti vedi in giro a predicare l’ibridazione alla gente. “Signora lei dovrebbe ibridarsi”. La vecchietta ti da una borsettata in faccia e chiama l’Igiene Mentale .
Ed é mentre sei ancora in uno stato di incoscienza, aspettando l’ambulanza, che ti giunge la voce curativa de La Barbanente. Si, La Barbanente. La chiamano tutti così, anteponendo al cognome un articolo maiuscolato perché, in urbanistica, é un cervello a metà strada fra il divino e l’umano. La senti parlare e ti convinci che e proprio così. La professoressa, con poche parole, squarcia l’incubo del blob. “Io non ho pensieri deboli” dice ed io mi rianimo. “Le città non sono fatte di pietre e di oggetti ma di uomini che le modificano col loro semplice esistere” .” I non luoghi e le periferie anonime e uguali sono il prodotto di un turbo capitalismo che ha prodotto progettualità e conformazioni urbane bidimensionali”, “il territorio pugliese ne é stato devastato e il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale é stato il modo per tutelarlo e rivalutarlo” e poi indica in Patrick Geddes, urbanista scozzese del secolo scorso, un esempio del “pensiero” che può ancora oggi costruire una possibilità di una città che si rapporti col territorio, con la sua storia, con dimensioni geografiche, amministrative e culturali più ampie (regioni, nazioni , mondo), che si nutra di tutte le sue potenzialità materiali ed immateriali (cultura, poesia, arte) e faccia della sua complessità una forza finalizzata al benessere degli uomini e non al loro smarrimento.
Poi, quando il dibattito finisce, può anche capitarti di incontrare il prof. Luigi De Pinto, docente di filosofia, che come te ha assistito all’incontro. É lui che ti fornisce le prime parole che cercavi. Ti dice “dialogo” cioè la gioia e l’arricchimento dell’incontro fra due logos nella loro distinta individualità. Me e lui che abbiamo il piacere di conversare e confrontarci . E poi ti dice “idea” e ti sembra di sentire Platone che ti tiene la mano e ti dà coraggio. E ancora il prof. ti parla di “senso dell’ essere uomini” ed é allora che tutti i pensatori e filosofi del passato ti appaiono, prendono per mano te e il prof. De Pinto e ti portano in un festoso girotondo. Ci sono proprio tutti. Ed al centro del girotondo i quattro Evangelisti. Per me e per il prof. De Pinto, grazie alla comune fede in Cristo, é facile trovare le parole su cui fondare la città odierna e futura. Sono le parole che ci vengono spezzate ogni domenica. Sono parole chiare, evidenti, profondamente nostre. Parole che l’orgoglio del nostro pseudointellettualismo rifiuta di pronunciare perché ci fanno sentire meno progressisti, meno al passo con i tempi.
Le parole sono: amore, prossimo, comunità, condivisione, missione, fratellanza, famiglia, armonia, dono, felicità, lavoro. Più tecnicamente urbanistiche aggiungerei le parole: struttura, ordine, trama, logica, sacralità, organicità, tradizione, specifico, peculiare, immaginazione.
Io non credo che l’uomo cambi al cambiare delle stagioni. L’uomo é sempre lo stesso dalla notte dei tempi. Un miscuglio variegato di ragione e passione, di divino ed animalesco, di avidità ed amore, di poesia e feci. Siamo noi intellettuali che vorremmo connotarlo con nostre innovative definizioni per sentirci trionfalmente profetici. Le parole da cui ripartire sono sempre le stesse, le conosciamo e le usiamo da sempre perché le abbiamo dentro. Non dobbiamo avere paura di pronunciarle solo per il timore di apparire banali.
Bartolo Di Pierro