Il Documento Programmatico per la Rigenerazione Urbana della nostra città, redatto nel 2010, ha stabilito non solo le aree di intervento e i processi in atto, ma ha prodotto anche un’analisi della nostra città risalente alle statistiche ISTAT dei primi anni Duemila, come anche a dati regionali e provinciali dell’epoca. L’analisi del Documento riporta, in buona sostanza, le maggiori problematiche legate al territorio urbano. Problematiche a cui il Documento cerca di rispondere ma che, ovviamente, non riesce a soddisfare completamente per varie ragioni. Interessante, tuttavia, notare come una delle problematiche emergenti anche dal Documento Programmatico sia quello dei disagio abitativo. Dal Documento risulta che il numero di occupanti per stanza in abitazioni sia dello 0,82, leggermente superiore a quello della media provinciale e regionale, circa 0,73. Cosa indicano questi dati? indicano che, negli anni passati, si è pensato maggiormente a costruire case di proprietà che ha portato ad un esaurimento dei mezzi finanziari a disposizione. In altre parole, l’idea della casa di proprietà ha favorito politiche economiche che andassero più in questa direzione, puntando meno ad altri tipi di strutture ed infrastrutture come anche a case in affitto. Insomma, si è preferito costruire case piuttosto che servizi al cittadino, il che ha spinto lo sviluppo urbano più verso il mercato immobiliare che verso gli altri generi di servizi di cui una città ha bisogno. Infatti, la maggior parte delle scuole e dei servizi ricreativi, all’interno delle nostre città, sono nati in un secondo momento, all’interno di quartieri già abitati.
A questo si aggiunge anche il piano delle case sulla costa. La spiaggia biscegliese ha favorito e favorisce ancora il turismo all’interno della città. Grazie al turismo, soprattutto di abitanti delle città limitrofe, Bisceglie si è dotata di una vasta zona di villette di proprietà o cedute in affitto. La litoranea di ponente, da Salsello fino a Ponte Lama è cresciuta negli anni passati grazie alla costruzione di villette vacanze, in cui sia i biscegliesi sia cittadini residenti in altre città potessero abitarle per il periodo estivo. Così ci ritroviamo da una parte con un disagio abitativo costituito da un sovrannumero di persone per stanza, a cui si aggiungono anche i fenomeni sociali legati alla famiglia contemporanea (divorzi, separazioni, figli adulti in casa, allungamento della prospettiva di vita, dipendenze da sostanze), che generano nuove tipologie di famiglie, dall’altra con una zona disabitata o quasi deserta nella maggior parte dei mesi invernali. Siamo dinanzi, dunque, non solo ad un programma di riqualificazione urbana, ma ad una riqualificazione sociale che riparta dalla nostra comprensione della realtà. Infatti, se mettiamo in tensione dialettica questi due fenomeni: disagio abitativo e villa al mare, notiamo come ci troviamo dinanzi ad racconto urbano che risente fortemente dei cambiamenti d’epoca e di valori. Siamo dinanzi, potremmo dire, al fenomeno contemporaneo della solitudine per cui emerge la famiglia mononucleare, ovvero la famiglia costituita da un solo membro, che può essere sia un giovane che decide di andare a vivere da solo sia un genitore separato sia un lavoratore trasferitosi da poco. Dall’altra parte, invece, siamo dinanzi ai residui del mito della villa al mare tipico dell’Italia degli anni Ottanta e Novanta, del divertimento e della proprietà dopo la ricostruzione post-bellica. Una città, dunque, che non ha grandi vuoti urbani nella suo tessuto cittadino, ma che risente di un cambiamento d’epoca a cui ha bisogno di adeguarsi e con cui ha bisogno di trasformarsi. Tuttavia, questa trasformazione non può avvenire solo grazie ad un Documento Programmatico, ma in particolare avviene attraverso la cultura, attraverso il cambio di paradigma culturale. E proprio in riferimento a questo cambio di paradigma, avanziamo una proposta di riqualificazione urbana: il co-housing.
La villa al mare è il simbolo di una abitazione costruita per una famiglia o per più famiglie, con servizi e spazi che diventano sempre più difficili da abitare e da gestire, in particolare per le famiglie in età avanzata. L’idea della casa grande, dei grandi spazi, tipica del secolo scorso, oggi sembra andare in crisi, insieme anche all’idea della famiglia stessa e all’innalzamento dell’età media. L’idea del co-housing, invece, è quella del vivere insieme, prima di tutto per ottimizzare le risorse, per un risparmio sui pagamenti e sulle utenze domestiche, in seguito anche per ampliare la propria rete di conoscenze, per ritrovare un nuovo paradigma sociale costituito da una comunità che vive insieme. L’emergenza abitativa della nostra città potrebbe, dunque, ritrovare una possibile soluzione nell’abitare non solo con i propri famigliari, ma anche con altre persone che hanno bisogno non di grandi spazi ma di piccole stanze private e spazi comuni. L’idea del co-housing, infatti, è proprio in questa commistione fra lo spazio individuale e lo spazio comune che convivono nel medesimo ambiente domestico. Stanze riservate e stanze in cui poter condividere, in cui le regole del vivere sono scelte, fissate e condivise fra gli stessi abitanti della casa. Si tratta, ovviamente, non solo di un passaggio programmatico ma soprattutto di un passaggio di mentalità, dove ciò che regna non è la privatizzazione della casa, ma la condivisione delle risorse. Insomma, una riqualificazione non solo del costruire ma dello stesso abitare.
Matteo Losapio