Più faticosa ma indispensabile: è la via della “partecipazione” quella da percorrere nella trasformazione della città. “Una città in cui la comunità possa realmente identificarsi”. Parola di donna o meglio, parola di nove donne, scelte fra le più illuminate e attente urbaniste, architette, dirigenti e amministratrici pubbliche della nostra regione, che si sono incontrate il 20 marzo intorno a un tavolo virtuale, voluto dal Sistema Garibaldi, per scambiarsi e comunicarci gli esiti della pratica del coinvolgimento della cittadinanza nelle loro esperienze pianificatorie e progettuali vissute. L’incontro organizzato e gestito dalla sezione biscegliese del FAI e dal gruppo di architetti biscegliesi ArchiMisti ha visto alternarsi nella conduzione e guida l’ingegner Giulia Mastrodonato, l’architetto Alessia Minervini e l’avvocato Liana Di Molfetta le quali, con l’intelligente acutezza delle questioni poste, hanno saputo far emergere testimonianze foriere di riflessioni per i nostri amministratori cittadini.
“L’ambiente e il paesaggio non si progettano”, ha esordito la prof.ssa Angela Barbanente, “la loro trasformazione è un processo dinamico in cui i protagonisti attivi sono le comunità. La ricerca perseverante della partecipazione” ha continuato, “ha il fine politico di evitare quelle asimmetrie sociali, generate dal nostro ordinamento, per cui gli unici che fanno sentire la loro voce, nei momenti decisionali urbanistici, sono solo i possessori, i diritti reali (i proprietari dei suoli) e le forze economiche”.
L’assessore alla cultura del comune di Ruvo, Monica Filograno, ha raccontato come una intuizione politica, coadiuvata da artisti, abbia prodotto a Ruvo un evento, come le luminarie natalizie “Luci d’artista”, salito alla ribalta della stampa nazionale. La lungimiranza culturale si è compiuta nell’aver coinvolto i cittadini, di buona volontà, nella condivisione e realizzazione dell’opera. Il plus valore generato, prima che artistico è stato sociale e questo valore immateriale si chiama: felicità. I ruvesi ormai si identificano con le loro luminarie e il passeggio al loro chiarore li ha resi semplicemente più felici. Scusate se è poco, osiamo chiosare.
L’architetta biscegliese, naturalizzata ticinese, Felicia Lamanuzzi, soffermandosi sul produrre architettonico ne ha sottolineato l’inevitabile influenza sulla città nella sua dimensione pubblica. Questa condizione impone agli architetti un pensare etico che coniughi privato e collettivo. Il coinvolgimento della cittadinanza che “subisce” il costruito può attuarsi solo attraverso la trasparenza e la visibilità. La Lamanuzzi ha citato l’esempio svizzero: ogni progetto di impatto volumetrico, nella sua rappresentazione grafica, va affisso in prossimità dei cantieri ed ogni opera pubblica viene eseguita solo dopo aver espletato un concorso progettuale.
L’esperienza partecipativa vissuta dall’architetto Marina Carrozzo, dirigente del settore urbanistico del comune di Brindisi, durante l’elaborazione del loro Piano Urbanistico Generale, ha portato l’urbanista a vivere sul campo l’impatto con interventi e opere passate, piovute dall’alto, aliene alla realtà sociale e culturale dei quartieri in cui sono stati realizzate, in particolar modo in quelli periferici e disagiati.
L’assenza di dialogo preprogettuale ha generato, a Brindisi, l’immediata repulsione delle opere pubbliche eseguite da parte degli abitanti del quartiere generando in loro reazioni di teppismo distruttivo. Raccolta la testimonianza delle ragioni dei fenomeni di vandalismo, ancor prima di pensare ad un progetto, l’urbanista si è attivata nel ricercare caparbiamente un incontro e un dialogo con la popolazione per suscitare in ciascuno di loro quel bisogno insopprimibile di bellezza, bisogno che ci caratterizza tutti come umanità e che ci commuove proprio come hanno fatto le parole e l’entusiasmo della Carrozzo.
E i politici? Cosa hanno avuto da dire sul tema della partecipazione?
La sindaca di Andria, Giovanna Bruno, di recente nomina, ha testimoniato quanto le sia stato complicato modificare una consolidata abitudine politica alla monocrazia. Il percorso partecipativo, verso cui si è detta già indirizzata nella sua azione amministrativa, nonostante sia una modalità politica che mostra il fianco ai detrattori, non si autosostiene se non c’è una visione politica complessiva in chi governa. La partecipazione, secondo il Sindaco, non può significare assenza di idee degli amministratori nè tanto meno deve divenire dare spazio ad azioni prepotenti di minoranze contestatrici. La partecipazione è un percorso di costante dialogo sempre e comunque guidato da chi ha deleghe di responsabilità amministrativa.
È stato chiesto alle relatrici di elencare una serie di regole e consigli per una buona pratica urbanistica partecipativa. È stata comune risposta che regole non ce ne sono. Forse, come ha auspicato l’avv. Di Molfetta, occorrerebbe definire legislativamente, in maniera chiara, che la partecipazione è un diritto incalpestabile per il cittadino e un dovere procedurale per chi amministra. O forse come ha detto l’assessore Filograno la partecipazione si attua solo col fare. A noi piace pensarla come la collega Carrozzo per cui la partecipazione è il disporsi empaticamente nei confronti di una comunità usando linguaggi comprensibili che favoriscano il dialogo.
A incontro concluso rimane l’amarezza per noi ArchiMisti, per come si è intervenuti sulle modalità di recupero e restyling della nostra Piazza del pesce. Si è persa, in questo caso, una bella opportunità di partecipazione condivisa, perché, come ha sottolineato Carlo Bruni, a tutti deve essere data l’opportunità di esprimersi su un bene comune per risemantizzarlo e dargli un nuovo valore.
Gruppo ARCHIMISTI