La toponomastica cittadina e la dedicazione di edifici pubblici come strumento di orientamento e di conservazione della memoria collettiva

L’appropriata denominazione di aree di circolazione e di luoghi urbani in genere è un argomento di costante attualità, che corre in parallelo al processo, da noi devo dire più imprenditoriale che ideale, di espansione della città.

Nel 1994 Mario Cosmai affrontò la questione con una bella ricerca sui “Toponimi biscegliesi”, un lavoro apparso come “Quaderno” n. 2 del Centro Studi Biscegliese, condotto sui catasti antichi della città (quello “onciario” del 1576, quello borbonico del 1753 e quello geometrico-particellare del 1873), oltre che sul catasto aggiornato al censimento generale del 1925; nello studio venivano esaminati, sotto il profilo linguistico, più di 450 toponimi locali, sia urbani che rurali, attingendo elementi di valutazione, ci informava l’Autore, anche “dalla viva voce di contadini, geometri, mappisti, guardie campestri, proprietari e mediatori…al fine di una loro ricostruzione storica.”

In quella sede si ripercorrevano le tappe della locale questione toponomastica: a partire più o meno dalla metà degli anni Sessanta, non si ricorse più al “principio storico-locale”, che fa riferimento a personaggi o eventi strettamente legati al luogo, ma prevalse l’orientamento di dare rilievo ad una sorta di “toponomastica delle idee” (Via dell’Ecologia, Via dell’Illuminismo, dell’Emancipazione…) o ad una ispirata da arti e mestieri. Sorsero così vie con nomi di attività disparate (Via delle Caterinette, degli Ortofrutticoli, degli Agricoltori, degli Ortolani, degli Scalpellini, dei Muratori…), un bell’inventario di arti manuali che però in quei luoghi non erano mai state esercitate, distribuite alla bisogna nel tessuto urbano in maniera “incomprensibile, astratta, mistificante”, come stigmatizzò lo stesso Cosmai.

Un “falso storico”, insomma.

La Toponomastica ha invece i precisi contorni della scienza.

I nomi locali, legati cioè all’ambiente che li ha prodotti, costituiscono un autentico bene culturale, il giacimento di una storia unica e irripetibile; tali toponimi, unitamente alla presenza continua di riferimenti a personaggi notevoli e a vicende importanti del luogo, fanno dell’onomastica urbana un efficace strumento evocatore di quei capisaldi intorno ai quali si articola e si celebra l’identità collettiva, ne attribuiscono la delicata funzione, espressamente didattica, di orientamento etico-morale (e non solo topografico-urbanistico), strutturano una narrazione che, attraverso il linguaggio onomastico, rivela i luoghi del tempo e il tempo dei luoghi.

Felice Pellegrini, che si è interessato della questione sin dalla fine degli Anni ’60, nel 2004 è tornato sull’argomento lamentando la “scarsa presenza toponomastica” dei Vescovi della diocesi di Bisceglie (eccettuati Amando e Sarnelli) e a ragione. Invano cercheremmo oggi quei tanti nomi attraverso cui la storia patria può farsi presenza e monito, esempio e testo: Guglielmo d’Altavilla (Bracciodiferro) e Pietro di Amico, il condottiero e il fondatore della città, Dumnello, Mancusio e Stefano, i vescovi della formazione urbana, Francesco Del Balzo, Alonso D’Aragona e Lucrezia Borgia, Cesare Fracanzano, pittore del Seicento nato a Bisceglie, gli architetti Mauro Di Pierro e Giuseppe Albrizio, i grandi pionieri dell’esportazione, Giovan Battista Ferraro, il maggiore poeta biscegliese che ad oggi si conosca.

Sono solo alcuni dei nomi possibili. In realtà, oltre la doverosa operazione “di sottrarre all’oblio uomini ed eventi che si legarono nel tempo alla storia cittadina”, il “riferimento” da affidare al futuro dovrebbe anche esprimere una corrispondente significatività tra infrastruttura e sua intitolazione. Intendo dire che non basta semplicemente riconoscere e onorare quei personaggi rilevanti per la vita della comunità locale (e quindi del territorio e della nazione), ma occorre anche che se ne percepiscano spessore e autorevolezza attraverso l’identificazione diretta con un luogo di pari “rango”. In altre parole, ad esempio, se Aldo Moro o Giuseppe Di Vittorio o Carlo De Trizio, Leonardo De Mango o Sergio Cosmai sono sufficientemente rappresentati da arterie importanti, non mi pare congruente che Via Mauro Albrizio (protagonista principale dello sviluppo otto-novecentesco della città) abbia meno “peso” di Via Luigi Papagni, che Via Luigi Castellucci (il maggior esponente del neo-classicismo in Terra di Bari e autore del nostro cimitero monumentale) o Via Anseremo da Trani (sommo scultore degli ultimi decenni del Duecento, che operò anche a Bisceglie in Santa Margherita) o Via Marco di Baldino (biscegliese, che realizzò le nostre splendide mura quattrocentesche) siano un’appendice di via degli Artigiani; e ancora che Via Nicola Consiglio sia una strada periferica qualunque o che Via Federico II di Svevia sia una piccola bretella, così denominata forse perché si raccorda con via Andria, la “Civitas fidelis” dell’Imperatore.

E ancora a proposito di personaggi locali, naturalmente nel più assoluto rispetto della loro dignità e della loro memoria, non posso evitare di denunciare quella che io ritengo la più grave “ingiustizia” nella nostra onomastica stradale: c’è una lunghissima arteria di pregio, che attraversa la zona turistico-residenziale di Salsello, intitolata a Luigi Di Molfetta, certo ottima persona ma forse non esattamente della medesima rappresentatività dei Falcone, la famiglia biscegliese più prestigiosa di tutti i tempi, ai quali è invece dedicata una traversa senza uscita di Vico Imbriani: una grave distrazione!

La toponomastica è una disciplina tutt’altro che approssimata o di tendenza e tanto meno strumentale, come invece è stato in anni recenti, quando una certa deriva ideologica ha a suo modo avvicinato Bisceglie alla tragica infinita contingenza mediorientale. Comparve così una stradina intitolata alla città giordana di Al Fuheis (in nome del misterioso gemellaggio dal 1998) e si stava seriamente pensando a un parco urbano (Sant’Andrea) dedicato a Yasser Arafat, atteso in città nell’estate del 1999. Chissà se, con altri esiti elettorali, avremmo avuto anche una Via Saddam Hussein o, migrando in altri ambiti planetari decisamente “cool” in quegli anni, una Via Fidel Castro: il primo ricevette infatti nel 2001 un imbarazzante saluto “e l’abbraccio affettuoso dell’intera Città di Bisceglie” e del suo sindaco in particolare; al secondo, nel 2005, fu pubblicamente proclamata una inquietante vicinanza.

Senza tacere di altre intitolazioni recentissime, francamente inspiegabili, come il Largo Fiamme Gialle a cui è stato negato il toponimo originario, storicamente documentato, di “Largo Tre Trappeti”, Largo Capitanerie di Porto, che magari poteva essere dedicato a Riccardo Falcone (quello del celebre sepolcro in Santa Margherita), Ammiraglio di Carlo II d’Angiò in Sicilia e in Puglia, oppure il doveroso tributo allo stesso Prof. Mario Cosmai (nel 2009 suggerii pubblicamente di pensare a Via Marconi), che a mio giudizio avrebbe meritato ben più di un marciapiede notissimo (purtroppo) agli audiolesi.

E che dire del nuovo plesso scolastico a Pendio San Matteo intitolato nel 2016 al Cav. Dino Abbascià, valentissimo biscegliese ma in campi certo diversi da quello dell’istruzione pubblica; nel verbale n. 11 (13/09/2016) della Consulta per il Centro Storico, che presiedevo, forse interferendo indebitamente nelle competenze della Commissione Toponomastica (ma per ragioni esclusivamente legate alla tempistica della burocrazia), si proponeva all’unanimità l’intitolazione della scuola al Prof. Giuseppe Dell’Olio, insigne concittadino e Maestro, cultore appassionato di cose patrie, per lungo tempo apprezzato preside del Liceo “Virgilio” in Roma. E ancora in quegli stessi giorni si inauguravano a Bisceglie altri due nuovi plessi scolastici, uno dedicato a Don Pino Puglisi, l’altro a Santa Rita, mentre qualche mese più tardi (agosto 2017) toccava alla bellissima e avanguardistica struttura scolastica della Zona 167, che porta il nome dell’indimenticabile Sandro Pertini; che dire! Inaugurare quattro nuove scuole in meno di un anno è un gran successo e i personaggi evocati sono certo egregi riferimenti per gli spiriti in formazione, ma è altrettanto vero che, al momento delle scelte, il principio storico locale sarà stato del tutto assente anche come opzione.

Eccezione per due slarghi all’interno del centro antico, rivenienti da crolli di antichi isolati, intitolati una volta riqualificati il primo (2019) al Sac. Mauro Di Molfetta (l’area alle spalle della Chiesa di San Domenico) e l’altro (2020) a generici “Tre Santi” (l’area lungo Pendio San Matteo), certo nelle intenzioni con riferimento ai Ss. Protettori di Bisceglie ma di fatto indicazione indecifrabile per un passante ignaro della storia locale.

Ancora più preziosa appare allora la ricerca del Cosmai, che ci riporta sulla via maestra della metodologia scientifica, fondata su documenti storici di prima mano; nel nostro caso i già ricordati catasti antichi (non fu forse consultato il catasto napoleonico “provvisorio” del 1809, anch’esso conservato, come gli altri, nel nostro Archivio Storico) e non sarà certo un caso che, nel Regolamento per la Toponomastica (e la numerazione civica), approvato nel 2008, siano espressamente richiamati quei catasti storici e il rispetto dei toponimi ivi contenuti ai fini delle nuove denominazioni: un principio puntualmente eluso, a dispetto di una toponomastica che, se rigorosamente attuata, concorrerebbe a perseguire quell’azione di rigenerazione culturale (ed estetica) di cui la città ha bisogno; c’è uno spessore storico del quale non si ha ancora piena consapevolezza e che può convertirsi in risorsa economica nel momento stesso in cui la città entra in rete in circuiti virtuosi e di alto profilo con le sue riscoperte credenziali, rispondendo a una domanda sempre più ampia e articolata e di qualità elevata.

In questa direzione dovrebbero essere indirizzati anche gli atti di dedicazione e/o destinazione di alcuni nostri edifici pubblici.

E’ noto che Bisceglie vanta i natali di due pittori piuttosto noti: il già rammentato Cesare Fracanzano (Bisceglie,1605; Barletta, 1651/52) e Leonardo De Mango (Bisceglie, 1843; Istambul, 1930); vi sono ragioni direi sufficienti per istituire, nel nome dei due Artisti, una Galleria d’Arte tutta biscegliese, magari con una sezione antica dedicata al Fracanzano e una moderna e contemporanea intitolata al De Mango; il tutto al piano nobile di Palazzo Tupputi (ne scrivevo non senza consensi e apprezzamenti nel 2013), uno spazio prestigioso oggi senza dubbio utilizzato al di sotto delle sue potenzialità.

Ricerche di Luca De Ceglia (1990) e un recentissimo (e prezioso) saggio del nostro concittadino Maestro Antonio Dell’Olio hanno gettato ampia luce sulla figura di Gaetano Veneziano, nato a Bisceglie nel 1665 e spentosi a Napoli nel 1716, compositore di chiara fama che, per esempio, nel 1704 successe ad Alessandro Scarlatti nella carica di maestro della Cappella Reale Napoletana; più noto del Veneziano risulta invece Sergio Nigri (Bisceglie, 1804; ivi, 1939), compositore e a soli 15 anni primo flauto nell’Orchestra Massima del Teatro San Carlo di Napoli, a differenza di suo fratello Gabriele (Bisceglie, 1814; Napoli, 1870), apprezzatissimo compositore alla corte dello Zar, “applauditissimo a Parigi, Londra e Pietroburgo”. A Gabriele Nigri è intitolata una stradina senza uscita, traversa di Via Brindisi (Corso Umberto I).

Mauro Giuliani (Bisceglie, 1781; Napoli, 1829), il “Paganini della chitarra”, gran vanto della città, ha una importante strada di periferia a lui dedicata, ma è un riconoscimento non all’altezza della sua fama; e allora mi chiedo: se Bisceglie onora la grande tradizione musicale e teatrale pugliese non solo con figure di primo piano ma anche con un teatro di proprietà pubblica, sorto nella seconda metà dell’Ottocento, intitolato a Giuseppe Garibaldi, ora in fase di definitiva ristrutturazione, non viene spontaneo pensare ad un Teatro Mauro Giuliani? Se lo chiedono peraltro tutti gli artisti stranieri che transitano per Bisceglie, ospiti della bellissima “casa Museo Giuliani”, chitarristi che vengono da tutto il mondo a rendere omaggio al Sommo e alla sua città natale.

Se dunque Lecce ha il suo Paisiello (nonostante Giovanni Paisiello fosse tarantino), se Bari ha il suo Piccinni, Foggia il suo Giordano, Barletta il suo Curci, Altamura il suo Mercadante, Mola il suo van Westerhout o Terlizzi il suo Millico, perché Bisceglie dovrebbe avere il Garibaldi e non il suo Giuliani?

Non si tratta solo di mutare o al limite integrare un’intitolazione, ma di trasformare l’operazione in un evento destinato ad accrescere l’immagine complessiva della città, come ad esempio fece Bitonto nel 2005, quando la città intese valorizzare se stessa e il suo teatro ottocentesco, dedicato a Umberto I di Savoia, non solo ricostruendolo e dedicandolo, in occasione della riapertura, al suo Tommaso Traetta, non solo traslando (da Venezia) nella cripta della Cattedrale i resti del grande compositore, ma anche organizzando un concorso internazionale di canto lirico, istituendo una orchestra stabile da camera, specializzata nel repertorio inedito di autori bitontini, producendo ed eseguendo in prima mondiale assoluta quell’autentico capolavoro del Traetta che è lo Stabat Mater.

Con lo stesso impegno (e orgoglio) San Vito dei Normanni, pur non avendo un teatro, onora il suo Leonardo Leo con il “Barocco Festival”, giunto alla XXIII edizione (2020).

E Bisceglie? Ora che a breve avremo di nuovo un teatro in perfetta efficienza, si potrebbe riprendere la bella tradizione del Festival Internazionale di Chitarra “Mauro Giuliani”, interrotta nel 2004 (quando per altri “Festival” si spendevano centinaia di migliaia di Euro in nome di una confusa concettualizzazzione di comuni identità mediterranee); in quello stesso anno si tentò di avviare un concorso di flauto traverso intitolato a Sergio Nigri.

Devo dire con franchezza che, se non fosse per l’amorevole cura con la quale Nicola Giuliani e Nunzio Liso tengono viva la memoria del “Paganini della chitarra”, Bisceglie avrebbe pian piano dimenticato questa sua gloria (sull’argomento, ricordo una deliziosa ‘spigolatura’ sgorgata dalla penna di Antonio Papagni, alle cui mirabili lezioni molto deve il mio spirito).

Luca De Ceglia, nel suo bellissimo “Bisceglie in Pentagramma”, ci ha ampiamente edotto sulla vasta produzione musicale, pressoché sconosciuta, di quei nostri antichi e celebri compositori, che oggi potrebbero anche accoglierci in coro nel foyer del teatro, magari ricreati nel marmo dal nostro formidabile Tony Cassanelli, scultore ormai lanciato a livello internazionale: c’è quanto basta per cominciare a delineare avvenimenti di rilievo, con ritorni d’immagine che chiunque può facilmente figurarsi.

Non sarà facile, ma un giorno, incamminandomi dal Palazzuolo verso il Centro Antico, non potendo ormai più percorrere Via Mario Cosmai, rimasta Via Marconi, non dispero, sulla strada che fu della Porta urbica maggiore, di ritrovarmi a scorrere le locandine del Teatro Giuliani, già Garibaldi.

Gianfrancesco Todisco