#Viaggioconlarte, Manet e Goya: fotografia di morte

Edouard Manet nasce a Parigi il 23 gennaio del 1832, è considerato il precursore dell’impressionismo: movimento pittorico francese che deriva direttamente dal realismo che rappresentava la realtà quotidiana della società occupandosi di denunciare i problemi del tempo.

Nel 1870 con l’uscita di scena di Napoleone III, in Francia si proclama la Terza Repubblica. Questo favorì l’ascesa della borghesia moderata e conservatrice, la quale instaura una politica di rigida difesa dei propri interessi economici. Con il consolidarsi della borghesia la vita parigina diventa centro di piacere e divertimento grazie ai teatri, musei, ristoranti, sale da ballo, casinò e cafè, con i loro caratteristici tavolini, oggetto di concentrazione della movida parigina.

La fotografia nasce in questo periodo e, grazie ad essa, la pittura cessa di essere documentaria e si incentra sull’analisi psicologica dei personaggi o sulle emozioni dell’artista. Infatti ciò che conta nella rappresentazione è l’impressione, il sentimento che un determinato stimolo esterno suscita nell’artista. Partendo da questo, si elimina il superfluo per arrivare a cogliere l’impressione pura delle cose. La luce e il colore sono uno dei temi centrali dell’impressionismo: l’occhio umano percepisce inizialmente la luce e i colori, poi attraverso la sua capacità di elaborazione celebrale distingue le forme e lo spazio in cui sono collocate.

Nasce così la pittura en plein air (all’aria aperta). La realizzazione dell’opera si svolgeva in due momenti: una stesura iniziale sul posto e successivamente il completamento e perfezionamento in studio. Nella pittura en plein air il disegno viene quasi completamente ridotto. Alcuni come Manet però, realizzavano e finivano le loro opere sul posto.

Fin da piccolo Manet, si mostra poco incline agli studi ma con una grande passione per l’arte. Suo padre, però, che era un funzionario ministeriale, non approvava la sua passione artistica e lo riteneva un fallito, così lo spinse ad intraprendere diversi viaggi da imbarcato, con la speranza di avvicinarlo alla carriera di magistrato, ma il viaggio, al contrario, si dimostra fondamentale per la sua esperienza artistica. Dal 1950 studia presso Thomas Couture, di cui giudica l’arte come vuota e innaturale, questo ad indicare la sua propensione anti-accademica. Il 5 maggio del 1874 viene inaugurata la prima mostra di pittori impressionisti, nello studio del fotografo Nadar, a cui parteciparono Renoir, Degas, Monet, Pissarro e altri che come loro avevano in comune l’insofferenza per le accademie, ma Manet preferì non associarsi. Egli si discostava da gli altri artisti impressionisti in quanto analizzava con attenzione i grandi esempi del passato, applicava il nero, colore che per gli impressionisti era bandito e prediligeva la figura umana rispetto ai paesaggi.

La pittura di Manet era profondamente segnata e caratterizzata dall’amore verso gli antichi maestri, dei quali ha analizzato e studiato le opere per affinare la propria tecnica, oltre ai grandi maestri del passato è stato influenzato anche da artisti Neoclassici come Goya, come possiamo notare nell’Esecuzione dell’imperatore Massimiliano, che rappresenta la sua fucilazione alla sola età di trentaquattro anni. Massimiliano era il fratello di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, ma da sempre aveva dimostrato di voler ambire ad una carica più alta portando alla luce le sue idee liberali. Quando Napoleone III conquistò il Messico, offrì a Massimiliano la corona. Massimiliano chiede il permesso a suo fratello che in cambio gli chiede di rinunciare per sempre al trono d’Austria e così fece. Ma una volta arrivato in Messico, ignaro della situazione politica e militare, si trovò in una posizione molto scomoda: i repubblicani messicani, guidati da Juarez non volevano accettare un governo straniero, così combatterono fin da subito contro la corona. Massimiliano si trovò ad affrontare l’insurrezione da solo: le truppe francesi abbandonarono il paese e non ricevette nessun tipo d’aiuto dagli Americani e dagli Inglesi. Così tentò di rifugiarsi a Queretaro, ma lo trovarono, e dopo un processo davanti alla corte marziale, il 19 giugno del 1867 venne condannato a morte e fucilato.

Manet venne profondamente colpito da questa vicenda e si mise subito all’opera per realizzare una propria versione dell’accaduto, il risultato furono quattro versioni del dipinto. La prima versione fu realizzata immediatamente dopo la tragica notizia; Manet decise di realizzare un dipinto di grande formato, qui sono evidenti i rimandi a Goya, sollecitati da un viaggio che intraprese in Spagna alcuni anni prima, riferendosi all’opera “3 maggio 1808” che rappresenta i due giorni d’invasione delle truppe francesi in spagna guidata da Napoleone, in particolare questa data passò alla storia come un giorno estremamente sanguinoso e divenne simbolo del massacro portato dalla guerra. L’intera vicenda è costruita in uno scenario cupo e scuro. In fondo a destra si intravedono le linee di una città dormiente, riconosciuta probabilmente come Madrid, che fa da sfondo ad una terribile scena. Da Goya riprende principalmente la camicia bianca del protagonista e l’inquadratura laterale. Manet veste il plotone d’esecuzione in abiti francesi attribuendo ad essi indirettamente la colpa della morte del sovrano.

L’evento rappresentato da Manet è privo di angoscia, e viene riconosciuto come un fatto ordinario. La prima versione è quella che più presenta dei tratti goyeschi. La scena è più cupa e gli spari dei fucili coprono i volti dei condannati rendendo l’atmosfera offuscata. I volti sono coperti da macchie scure rendendogli privi di identità. L’ultima versione presenta dei tratti più puliti: la scena si svolge alla luce del giorno, mentre in Goya i soldati hanno i volti abbassati, evidenziando la pura esecuzione di ordini superiori, in questo caso hanno lo sguardo dritto verso la vittima impegnati a non spagliare il colpo. A destra uno di loro si estranea dalla fucilazione, porta un cappello diverso da agli, questo sta a simboleggiare un ruolo più alto, forse si tratta di un generale, ha lo sguardo rivolto verso il basso. A sinistra così come nell’opera di Goya si trovano i giustiziati: l’imperatore porta in capo il tipico cappello messicano, e alla sua destra e sinistra troviamo dei suoi sostenitori del posto, i tre sembrano tenersi la mano. La scena è ferma nel momento in cui gli spari vengono rilasciati dai fucili del plotone ed uno di questi colpisce il personaggio all’estrema sinistra che inarca il corpo in avanti, mentre l’imperatore e il secondo personaggio attendono la loro tragica morte con lo sguardo perso ma rivolto ai loro carnefici. Lo spazio è diviso in due parti: appoggiati al muro che si trova dietro ai personaggi principali, troviamo i cittadini disperati che seguono tutta la straziante scena contorcendosi e disperandosi, accalcandosi gli uni agli altri.

Il tema della pena di morte venne affrontato da numerosi altri artisti un esempio di lampante ispirazione è il “Massacro in Corea” di Picasso.

Elisabetta Valente

Francisco Goya, 3 maggio 1808, 1814, olio su tela, Madrid, Museo del Prado